L’ANSIA SI EREDITA?

L’ ansia è ereditaria? Sono così ansioso perché i miei genitori lo sono stati altrettanto? Ho queste paure perché le ho imparate in famiglia?


Spesso le persone che incontro mi pongono e si pongono domande di questo tipo per cercare di dare un senso al loro vissuto di ansia o più in generale di preoccupazione eccessiva. Sono domande le cui risposte hanno una valenza importante. Se la risposta fosse che l’ ansia si eredita, da un lato la persona potrebbe in un certo senso sentirsi alleggerita per la propria percezione di impotenza nel non riuscire a fronteggiare queste sensazioni e questi pensieri particolarmente invasivi che non ci si sente in grado di controllare, dall’altro lato potrebbe però vivere questa situazione come una strada senza una via d’uscita e pensare al
massimo di poter convivere con la propria ansia piuttosto che poter pensare di avere la possibilità di vivere serenamente le diverse esperienze della vita.


Ad oggi non esistono studi scientifici tali da avvalorare l’idea che vi sia una ereditarietà genetica dell’ansia.
La mia risposta alla domanda se l’ansia si eredita è: L’ANSIA SI APPRENDE. Cosa vuol dire?
Credo che l’ ansia sia una modalità in cui approcciarsi alle situazioni che si è imparata nel corso della propria vita e poichè il primo contesto di relazioni di cui facciamo esperienza è la nostra famiglia, ritengo sia verosimile che la nostra ansia sia una modalità di risposta agli eventi che abbiamo imparato in famiglia.


Si tratta tuttavia di UNA modalità di affrontare le situazioni, non dell’unica modalità possibile. Nei momenti in cui ci sentiamo maggiormente in difficoltà possiamo tuttavia avere la sensazione che le cose non possano andare altrimenti e questo contribuisce ancor di più ad aumentare il nostro malessere.
Nella ambito del mio lavoro di psicoterapia mi occupo di approfondire la storia della persona e della sua famiglia cercando la risposta all’interrogativo: “Quando e dove hai imparato a far così?


La possibilità di dare e comprendere il senso del nostro modo di comportarsi può far sì che si creino in noi dapprima nei pensieri, poi nei comportamenti (o anche viceversa) delle modalità alternative di affrontare.


Ma come impariamo ad avere l’ ansia?


Spesso le persone che manifestano disturbi d’ ansia son cresciute in famiglie in cui vi è l’idea per cui la sicurezza e la prevenzione dei pericoli passa attraverso la vicinanza. Questa vicinanza possiamo coglierla sia in termini fisici che psicologici. Nel primo caso può passare con frasi del tipo “Non allontanarti troppo che può essere pericoloso”, nel secondo caso con la tendenza del genitori a controllare, a dover dare lui l’esempio o eventualmente a sostituirsi al figlio per garantire che tutto vada bene. In entrambe le situazioni l’effetto è che in qualche modo viene minato il nostro senso di autonomia.


Finché si è bambini è spesso facile e consentito richiedere la vicinanza del genitore. La propria maturazione passa però attraverso la fase di separazione dai proprio genitori. Si tratta di una fase necessaria per la propria formazione come persone adulte ed autonome.

Come posso sentirmi una persona adulta ed autonoma se son cresciuta con l’idea che per star bene è per me è necessaria la presenza e la vicinanza di qualcun’ altro?


Spesso il modo in cui si cerca di ovviare a questo dilemma è quello di richiedere la vicinanza altrui non più in modo diretto, come ad esempio può fare un bambino quando chiama la sua mamma, ma in modo indiretto, attraverso sintomi quali possono essere l’ ansia, gli attacchi di panico, malesseri di natura psicosomatica o particolari fobie. In questo modo viene inviato il messaggio implicito: “Non sono io che ho bisogno della tua vicinanza. E’ il mio malessere che richiede qualcuno che se ne prenda cura”.

Spesso le persone che soffrono di disturbi d’ansia sono state a loro volta spettatrici dirette o indirette delle paure altrui per cui ben conoscono l’aspetto di richiamo che suscita negli altri. Può, ad esempio, trattarsi di una bambina che ha fatto esperienza dell’ansia della madre e dell’effetto di richiamo che aveva sul padre, di un bambino che ha ben visto come i genitori erano allarmati per particolari problematiche del proprio fratello o di un ragazzino che ha imparato come l’ansia e le preoccupazioni della propria nonna tenessero ben impegnato e legato alla sua famiglia d’origine il padre.

Queste sono solo alcune delle situazioni che si possono verificare. Ogni storia è poi a sé, unica e speciale.


La possibilità di ripercorre a ritroso la propria storia e di comprendere in che contesto si è sviluppata la propria ansia può permetterci di vederla anche come “amica” nel senso che ci permette di mantenere la vicinanza delle persone per noi significative ed allo stesso tempo ci garantisce un buon livello di autostima perché non ci fa sentire dipendenti dagli altri, in quanto possiamo attribuire la necessità della vicinanza altrui all’ansia stessa.


Il costo di tutto questo è però quello di vivere in una situazione di malessere che ci impedisce di godere delle diverse situazioni della vita, ci fa venire il batticuore, ci fa temere di svenire, ci fa il terrore di impazzire o quant’altro.
L’obiettivo della psicoterapia è quello di poter portare a convivere la possibilità di godere della vicinanza altrui e la possibilità di sentirsi delle persone autonome senza la necessità che questo passi attraverso modalità per noi fonte di malessere.


Si tratta di un percorso che nell’arco di alcuni mesi può portare la persona ad avere il desiderio di sperimentarsi in situazioni nuove o in nuove modalità di affrontare gli eventi che possono a loro volta avere l’effetto di far sentire la persona sicura di sé, competente e nuovamente con la voglia di allargare i propri orizzonti.

Studio di Psicologia e Psicoterapia a Padova
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Dott.ssa Sara Lindaver Psicologa Psicoterapeuta

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