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DOPO QUANTO TEMPO SI RIMANE INCINTA?

Dopo quanto tempo si rimane incinta? Dopo quanto tempo preoccuparsi se non si rimane incinta? Perché non resto incinta? Perché non riusciamo ad avere figli?
Sono queste le prime domande che cominciano a poco a poco a farsi sempre più sentire nelle coppie alla ricerca di una gravidanza. Il tempo impiegato per il concepimento varia molto in funzione dell’età della donna e dell’uomo, dello stato di salute generale e dalla frequenza dei rapporti sessuali.
Dal punto di vista medico si consiglia di effettuare degli accertamenti relativamente alle proprie condizioni di salute generale e relativamente alla sfera riproduttiva quando, dopo 6 mesi di rapporti sessuali liberi e non protetti, non inizia nessuna gravidanza. Ciò non vuol dire che se una coppia non è riuscita a concepire il proprio bambino nell’arco di questi sei mesi ha necessariamente problemi di infertilità, ma può essere utile effettuare degli approfondimenti.
Solo dopo un anno/un anno e mezzo di rapporti sessuali liberi e non protetti si può considerare una condizione di infertilità della coppia, ovvero di una difficoltà di concepimento o di portare a termine una gravidanza che ben si differenzia dalla condizione di sterilità ovvero di impossibilità di iniziare una gravidanza.

In questa prima fase, in cui la coppia è ai suoi primi tentativi di ricerca di un figlio, le emozioni in gioco possono essere diverse: dall’eccitazione per l’idea di stare per dare inizio ad una nuova vita alla paura di non essere in grado di affrontare le novità e la genitorialità, dalla consapevolezza che non si può sempre volere “tutto e subito” all’impazienza ed insofferenza per i mesi passano e di test di gravidanza positivi ancora non se ne sono visti.

I vissuti possono essere diversi in base alle proprie storie personali, per cui già i famosi 6/12 mesi di “normale” attesa del concepimento possono essere vissuti come un “tempo più lungo del previsto” o come un preludio al “sicuramente ci saranno dei problemi”.

Dal punto di vista psicologico, è importante condividere con il partner i propri vissuti e le proprie emozioni in modo tale da non lasciare nel “non detto” aspetti che influenzano spesso in maniera rilevante il proprio umore, la propria quotidianità, la propria sessualità e più in generale la propria relazione di coppia e con gli altri.
In questa fase, un sostegno psicologico può essere utile sia dal punto di vista individuale che di coppia per dar voce alle proprie emozioni e per meglio comprendere su quali premesse questo tempo di attesa viene percepito come eccessivamente lungo o problematico.

NON RIESCO AD AVERE FIGLI

Dopo una prima fase di ricerca di una gravidanza libera e magari, successivamente, mirata, ad esempio, tramite il monitoraggio dell’ovulazione con specifici stick e/o con la misurazione della temperatura basale, dalle famose domande come “Quanto tempo ci vuole per rimanere incinta?” o “Come favorire il concepimento?” nella coppia comincia a farsi strada quella che sembra divenire una certezza: “Non riusciamo ad avere figli, non riesco a rimanere incinta e/o a portare a termine una gravidanza”.
Talvolta questa fase corrisponde con la scoperta di specifiche cause organiche maschili e/o femminili che rendono difficoltoso l’inizio o il proseguimento di una gravidanza. Altre volte queste cause restano sconosciute e si parla della cosiddetta “infertilità idiopatica o sine causa”.

Se da un lato ricevere una diagnosi ed una possibile spiegazione della propria infertilità viene colto come un macigno che si interpone nel proprio percorso di ricerca di un figlio ed una sorta di prova che le proprie sensazioni negative erano ben fondate, dall’altro lato l’assenza di una spiegazione della propria infertilità rischia di lasciare la coppia ancor più allo sbaraglio in preda alle frasi di conforto che si è soliti sentirsi ripetere come “non pensarci e vedrai che un figlio arriva quando meno te lo aspetti”.

In questa fase si massimizza il proprio vissuto di dolore, di frustrazione, di rabbia e di invidia nei confronti di coloro che invece son riusciti senza problemi a diventare genitori. Allo stesso tempo spesso si acuisce anche il divario che si percepisce fra sé stessi e gli altri “che non possono capire perché non ci sono passati”.

La coppia può sentirsi spaesata e sopraffatta dalle emozioni. È importante condividere le proprie emozioni ed i propri pensieri con il partner ma spesso è anche a tal punto doloroso che può esservi la tendenza ad evitare l’argomento per cercare di proteggere sé stessi e la coppia. La ricerca di distrazioni per non pensarci porta tuttavia con sé il rischio di una cicatrice non curata che può favorire un allontanamento fra i partner o ad un dolore sordo a cui non si riesce a dare voce.

La possibilità di rivolgersi ad uno psicologo può essere utile per la persona o per la coppia per trovare uno spazio protetto e circoscritto nell’ambito della propria quotidianità in cui esprimere il proprio dolore e trovare le proprie strategie per fronteggiarlo ed elaborarlo.

FECONDAZIONE ASSISTITA PMA

Una strada per la cura dell’infertilità può essere quella della fecondazione assistita o PMA. Certamente nessuno quando immagina di poter diventare genitore si figura di aver bisogno di un aiuto medico per un evento che dovrebbe poter avvenire in maniera naturale.

L’accettare l’intervento di medici specialisti nel proprio percorso per avere un figlio è di per sé un momento molto delicato. Implica il rinunciare all’idea che un figlio nato concepito spontaneamente nella propria intimità non potrà arrivare.

Pone inoltre la coppia di fronte a decisioni importanti: “A quale centro PMA mi rivolgo?”, “E’ meglio preferire la PMA pubblica o privata?”, “Che tecniche di PMA sento di poter affrontare?”, “Cosa faccio se fallisce la PMA?”, “Dopo quanti tentativi di PMA falliti ha senso fermarsi?”
La coppia può sentirsi spaesata, può dubitare della propria capacità di prendere la decisione giusta e di sapersi affidare agli specialisti competenti. Allo stesso tempo può anche temere di non essere in grado di fermarsi dinnanzi a tentativi di PMA falliti, come se fosse una sorta di “accanimento terapeutico”.

In queste circostante un sostegno psicologico può essere utile nelle diverse fasi di questo percorso:

- nella fase decisionale: come opportunità di trovare uno spazio accogliente e non giudicante dove esprimere i propri pensieri, le proprie emozioni ed i propri dubbi;

- durante la procreazione assistita nelle sue diverse fasi (dalla stimolazione ormonale, al pick-up ovocitario, al transfer, al post-transfer, all’esame delle Beta-Hcg): come possibilità di mantenere il contatto con i propri aspetti emotivi senza esserne travolti, a maggior ragione dinnanzi alle normali fluttuazioni del tono dell’umore legate agli sbalzi ormonali ma ancora di più in relazione all’investimento che come coppia si sta facendo nel voler diventare genitori;

- a seguito del fallimento della PMA: per elaborare il nuovo lutto per il mancato concepimento, per poter esprimere la propria tristezza, la propria delusione, il proprio dolore e per poter poi, un po’ per volta, ritrovare le risorse per investire nuovamente nel proprio futuro come singoli e come coppia. Questo momento è spesso utile per la coppia per trovare un nuovo progetto generativo sia che riguardi il proprio desiderio di riprovare con la PMA, sia che si orienti verso un’altra forma di genitorialità come l’adozione, sia che veda la coppia ripensare a sé stessa senza figli.

- a seguito del successo della PMA: può sembrare paradossale sentirsi in difficoltà dopo aver a lungo e con fatica atteso il concepimento del proprio bambino ma questo è assolutamente legittimo. Si tratta di una situazione nuova che in quanto tale può spaventare e può farci sentire impreparati a maggior ragione quando il tempo per cui questa gravidanza si è fatta attendere è stato particolarmente lungo tanto da non sperarci quasi più. Anche in questi casi uno spazio di ascolto e condivisione accogliente può essere utile per ritrovare o scoprire nuove risorse che permettano di vivere con la meritata serenità questa nuova esperienza di vita.

FECONDAZIONE ETEROLOGA

Se di per sé la procreazione medicalmente assistita è considerata un piano B rispetto al naturale concepimento del proprio bambino, la fecondazione eterologa potremmo dire che molto spesso è il cosiddetto piano C.

Cosa vuol dire? Le coppie si trovano di fronte alla scelta se intraprendere o meno la strada della fecondazione eterologa spesso sono particolarmente provate dal tempo trascorso e dalle delusioni provate nel non essere riuscite a concepire un figlio naturalmente, nel aver sperimentato i fallimenti della fecondazione assistita omologa o nel non avervi potuto accedere per importanti condizioni di infertilità o per situazioni di conclamata sterilità di uno o entrambi i partner.
Chi si accinge alla fecondazione eterologa è come se avesse già affrontato almeno due lutti: quello non avere un figlio concepito naturalmente e quello di non avere un figlio concepito con il proprio patrimonio genetico con l’aiuto della fecondazione assistita. A differenza che nella fecondazione assistita omologa nella fecondazione assistita eterologa entra in gioco il fatto che non è solamente necessario un aiuto medico ma un altro uomo e/o un'altra donna devono aver donato i propri gameti per consentire alla coppia di concepire.

Dal punto di vista psicologico, le emozioni in campo sono molteplici dalla gioia per la consapevolezza che vi è un’ulteriore possibilità per la coppia per diventare genitori, al timore di nuovi fallimenti, alla possibile sensazione di inadeguatezza ed inferiorità nei confronti del donatore e/o della donatrice, alla sensazione di essere invasi ulteriormente nella propria intimità di coppia non solo dai medici e dagli specialisti ma anche da questa terza e/o quarta persona necessaria per il concepimento, alla paura di percepire il proprio bambino come estraneo in quando portatore di un diverso codice genetico e quindi di non essere in grado di amarlo adeguatamente, ai dubbi e alle perplessità sull’opportunità o meno di raccontare al proprio futuro figlio la sua storia…

Inoltre, dal punto di vista della coppia l’idea di concepire un figlio portatore del patrimonio genetico di solo uno dei due partner può turbare la sintonia di coppia. Vi può essere la persona che teme di forzare il partner nell’accettare gli spermatozoi di un altro uomo o gli ovuli di un’altra donna per generare il proprio figlio. Vi può essere la persona che sente di non poter dir di no ad una simile possibilità in quando è lei quella “con il problema”. Vi può essere la preoccupazione che uno dei due partner senta il figlio maggiormente come proprio e che questo influenzi poi la relazione genitore-figlio.

È difficile affrontare apertamente queste questioni perché sono aspetti delicati che vanno a toccare nervi già scoperti e dolenti. In questi casi un sostegno psicologico, particolarmente utile prima di intraprendere questo tipo di percorso, può favorire la coppia nell’affrontare questo passaggio con una maggiore consapevolezza ed accettazione delle proprie emozioni e con la possibilità di trovare nel partner il supporto e la comprensione necessaria senza sentirsi sbagliati o “privi del necessario coraggio”.

COME ACCETTARE DI NON POTER AVER FIGLI

Il parlare di coppie che nonostante molti anni di ricerca naturale e/o con PMA non riescono ad aver figli è un argomento tabù. Se di infertilità spesso non se ne parla ancor meno di parla di questo aspetto. Eppure nonostante i progressi della scienza, vi sono molte coppie a cui sembra essere preclusa la possibilità di aver un figlio.

L’aspetto più doloroso e difficile da accettare è che molto spesso non arriva una diagnosi o un momento preciso in cui si sancisce che non di potranno avere figli. Si tratta quindi di un percorso di elaborazione ed accettazione che la coppia un po’ per volta si trova a dover affrontare.
È un po’ come essere in un mare in tempesta. Dalle prime onde ci si sente travolti, sopraffatti, si teme di non riuscire a riemergere e a galleggiare, poi un po’ alla volta le onde si fanno meno alte e meno forti e si percepisce che ce la si può fare, che in fin dei conti si sa nuotare e che si può arrivare a riva e poi ripartire nella direzione di nuove strade e nuovi progetti.

Non credo sia possibile reinvestire nuovamente in sé stessi e nella coppia se non ci si lascia attraversare dall’onda. Il mancato arrivo di uno o più figli tanto desiderati e tanto presenti nei propri pensieri e nelle proprie fantasie è come un lutto ed in quanto tale necessita del suo tempo per essere elaborato.

Come tutti i lutti spesso si caratterizza per una prima fase di negazione, una fase di rabbia, una fase di tristezza e di dolore, una fase di accettazione ed una fase di reinvestimento in nuove prospettive di vita. La tristezza ed il dolore fanno male, quando si è travolti dall’onda si teme di non riemergere, ma una volta attraversati permettono di riscoprire nuove risorse e nuovi aspetti della propria personalità.

Un po’ alla volta questa ferita comincia a cicatrizzarsi e a fare meno male. Molto probabilmente non scomparirà mai. Non si dimenticherà di non essere riusciti ad avere figli ma non sarà più cosi doloroso. Sarà il ricordo di un dolore, di momenti difficili e di sofferenza che si è stati in grado di affrontare come singoli e come coppia e che hanno permesso di “fare carriera nel carattere”.

Un sostegno psicologico in questa fase può permettere alla persona e alla coppia di sentire di avere una sorta di rete di salvataggio e di percepire che il dolore travolge ma non distrugge. Si può trovare uno spazio in cui esprimere le proprie emozioni, piangere i propri figli mai nati e ritrovare assieme le risorse per investire nuovamente in sé stessi e nel proprio futuro.